XR Design Trends: vediamo cosa ci aspetta per questo 2021. Sarà deludente per alcuni, ma è realistico: quest’anno non bisogna aspettarsi sul mercato AR e VR rivoluzioni dal punto di vista dell’hardware. Sarà un anno di transizione. Ma è una grande opportunità per concentrarsi sul design delle app immersive. Per affinare le best practice che portano a realizzare esperienze più immersive e soprattutto più fruibili, dove la realtà virtuale e quella aumentata vengono utilizzate per migliorare i processi e non (solo) per stupire.
Sicuramente possiamo affermare che tra il 2020 e il 2021, in termini di XR Design Trends, le carte sul tavolo si sono completamente rivoluzionate.
La sfida AR e VR: tecnologia o design?
Il 2020 è stato un anno totalmente atipico. Le limitazioni ai movimenti imposte per far fronte alla pandemia hanno stravolto il modo in cui le persone si rapportano, sia in ambito familiare, sia per quanto riguarda il business.
Ecco che da un momento all’altro le riunioni online in videoconferenza sono passate dall’essere un’eccezione alla regola a diventare la normalità, in ogni ambito: per discutere coi colleghi, per organizzare il lavoro coi superiori, per contattare partner e clienti, ma anche per “vedere” – attraverso il filtro dello schermo – i parenti e gli amici.
Per molti versi, i rapporti umani si sono dematerializzati e anche i meno abituati alla tecnologia si sono dovuti adeguare alla nuova realtà, stimolando però lo sviluppo di soluzioni in grado di accorciare le distanze senza ridurre la produttività. Applicazioni come Zoom hanno visto una crescita rapidissima, quasi esplosiva, così come l’utilizzo di app come Teams e Slack, che sono state potenziate per supportare le nuove esigenze.
Se il lavoro in ufficio è andato avanti senza grossi problemi, fatta eccezione per le iniziali difficoltà ad adeguarsi, chi viveva di fiere ed eventi si è trovato di fronte a una crisi senza precedenti: con la mobilità azzerata e l’impossibilità di organizzare incontri, l’unica soluzione era di trasferirli in una dimensione digitale. Con risultati altalenanti, oggettivamente.
Quali sono stati quindi i trend del 2020 in termini di XR Design Trends? C’è chi si è accontentato di usare le classiche piattaforme di streaming e chi ha tentato di fare le cose più in grande, cercando di replicare l’esperienza della fiera sul piccolo schermo. Un po’ come un videogioco, queste piattaforme permettono di muoversi liberamente per le aree espositive, soffermandosi nei vari stand, consultando documenti, interagendo in alcuni casi con avatar che effettuavano presentazioni di prodotto.
Ma il risultato non è stato soddisfacente, in questi casi: molte di queste piattaforme erano poco intuitive, scomode da usare e piuttosto lente. Più che immergere le persone nell’atmosfera dell’evento, le estraniavano.
La tecnologia non è quindi pronta? Assolutamente no: è tutta una questione di design.
XR Design Trends: maggior focus sull’esperienza, non sullo stupore
Come è possibile che i videogiochi da anni siano in grado di gestire mondi virtuali con centinaia, talvolta migliaia di persone contemporaneamente, mentre applicazioni più professionali non siano in grado di replicare un’esperienza adeguata? Semplice: è una mera questione di design.
Videogiochi multiplayer – immagine tratta da Lineage 2 [2003]
Gli sviluppatori di mondi virtuali per i videogiochi hanno avuto anni di esperienza per tarare le loro interfacce, per adattarle alle esigenze. Al contrario, molte delle piattaforme che sono state usate durante i lockdown come strumenti di business sono ancora immature. Comprensibile: nessuno si aspettava il Covid e, di conseguenza, tutto è stato sviluppato in fretta, senza la possibilità di ragionare sui dettagli, quelli che fanno la differenza. Non l’impatto visivo, ma l’usabilità.
Un esempio banale è quello delle informazioni. Se in un mondo simulato quando bisogna consultare un documento questo viene proposto come una finestra all’interno di questo mondo, la leggibilità ne risente, per fare un esempio. Così come se per ottenere un’informazione facilmente ricercabile su un sito bisogna fare il gesto di prendere un dépliant, cliccando col mouse su un oggetto virtuale.
Queste esperienze possono divertire la prima volta, ma già al terzo utilizzo mostrano tutti i loro limiti, e tendono a frustrare più che affascinare. E no, un visore per la realtà virtuale non potrà risolvere il problema, che non è da ricercare nel display, ma nell’interattività.
Chi utilizza videogiochi si rende subito conto di come i mondi ludici siano decisamente più avanti e di come questi influenzino gli XR Design Trends. Ma c’è anche da dire che parte del merito arriva dall’utenza, tecnologicamente più evoluta. Chi sviluppa metaversi per il settore business, infatti, tende spesso a oscillare fra due estremi: da un lato c’è chi realizza esperienze virtuali cercando di copiare i giochi, dimenticandosi che l’utenza non si deve intrattenere ma deve lavorare in questi ambienti, obbligando le persone a scaricare client che pesano anche 1 GB.
Dall’altro, di contro, si vedono piattaforme realizzate da persone poco avvezze a questo tipo di tecnologie, che alla fine non creano mondi virtuali, ma dei semplici siti web con dei link, che con l’immersività non hanno nulla da spartire.
Nessuno di questi due approcci è sbagliato concettualmente, ma bisogna saper trovare la formula migliore in relazione alle esigenze di business, tenendo sempre a mente la semplicità, che non significa banalità, ma essenzialità ed efficienza.
Un esempio è quello delle showroom virtuali (abbiamo parlato qui di cosa ha fatto Frette) che sfruttano il concetto di video interattivi a 360° invece di simulare mondi virtuali.
Un approccio semplice sia per lo sviluppatore sia per l’utente, che però si rivela particolarmente efficace, soprattutto in quei casi (la maggioranza) dove non sono previsti dispositivi specifici per esplorare gli ambienti virtuali: i visori VR a oggi rappresentano una nicchia di mercato e sono poco diffusi, oltre ad avere alcuni limiti tecnici non indifferenti (a partire dall’effetto di motion sickness che possono causare), ed è per questo che la maggior parte delle esperienze virtuali devono essere concepite per essere visualizzate su comuni schermi.
I limiti delle interfacce per la realtà virtuale e aumentata
Gli attuali visori per VR hanno fatto degli enormi passi avanti rispetto ai primi prototipi di Oculus Rift, quelli che hanno scatenato la “moda” qualche anno fa. Per il prezzo a cui sono venduti, che comunque non è bassissimo, offrono risultati davvero notevoli. Anche in questo caso, però, gli sviluppatori devono imparare come aggirare i limiti intrinseci di queste tecnologie, a partire dal motion sickness, il senso di nausea che molti sperimentano indossando visori. Un limite che può essere risolto ragionando molto bene sul design dell’applicazione.
Guardiamo come esempio ad una applicazione da noi realizzata per Trenitalia. L’utente si trova all’interno di una cabina di comando del Frecciarossa, in movimento, e per quanto possa sembrare un’esperienza comune, abbiamo dovuto lavorare su una serie di accorgimenti tecnici per limitare problematiche come appunto quella del motion sickness. Abbiamo ovviato al problema giocando sul punto di vista, incrementando il frame of reference. In pratica, abbiamo fatto “sedere” gli utenti più in basso di quanto farebbero nella realtà, così da ridurre di qualche misura l’area in movimento e ridurre la fastidiosa sensazione di nausea.
Trenitalia – Cabina di comando Frecciarossa realizzata in realtà virtuale da AnotheReality
Questo vale anche per la realtà aumentata, che oggi ha due declinazioni: quella dello smartphone, ottima per turisti e videogiocatori, ma poco adatta al business, e quella degli smart glasses. Qui il mercato è in fermento e sono tante le aziende che stanno realizzando dispositivi, per lo più da utilizzare negli scenari di assistenza remota e manutenzione di prodotti complessi. Pensiamo alla manutenzione di un aereo o un treno, dove poter avere le mani libere mentre si lavora e contemporaneamente si controllano le checklist e gli schemi tecnici può aumentare enormemente la produttività.
(c) Microsoft Hololens 2
Sicuramente sotto il profilo tecnologico HoloLens 2 di Microsoft è quello più evoluto sul mercato, e ha il vantaggio di integrarsi nell’ecosistema in costante evoluzione di Microsoft, che fa leva anche sul potenziale del cloud Azure. Chi però si aspetta una sua diffusione in massa nei prossimi mesi, rimarrà deluso: parliamo di un prodotto che ancora costa tanto, tantissimo (più di 3.000 euro) che quindi può trovare spazio solo in ambiti molto specifici, dove il budget non è un problema.
Non è il suo unico problema: è pesante, e diventa quindi difficile utilizzarlo a lungo. Un limite relativo, però, dato che al momento le batterie durano solo un paio d’ore. Per come è strutturato, poi, impone agli sviluppatori di adeguare le app alle sue limitazioni, a partire da un campo visivo molto limitato, che obbliga chi realizza applicazioni a limitare l’area in cui si inseriscono gli elementi di realtà aumentata.
Le aspettative dei clienti contro la realtà dei fatti
Quello che spesso capita è che le idee migliori non tengano conto del reale utilizzo che verrà fatto dell’applicazione.
Sulla scia del successo di Pokemon Go, che mostra sullo schermo del portatile i personaggi di Nintendo, come se fossero davanti a noi, sono nate svariate applicazioni, spesso a fini di marketing. Ottima l’idea ma, spesso, la realizzazione non è all’altezza: far apparire un’auto in realtà aumentata può essere un modo per spingerla sotto il profilo pubblicitario, ma se questa vettura invece di apparire ancorata sul tavolo della sala la propone a dimensioni reali, l’esperienza è inevitabilmente rovinata.
Il motivo è semplice da comprendere: stiamo guardando questi oggetti – enormi – attraverso lo schermo dello smartphone, caratterizzato da dimensioni estremamente contenute. Sembra banale, ma abbiamo visto spesso errori di design di questo tipo, proprio come accade per le esperienze di fiera virtuale fondamentalmente immature.
In molti casi il problema è da ricercare nell’ambizione eccessiva di chi propone l’idea e nel tentativo di realizzarla in questa maniera senza tenere conto dei limiti tecnologici. E qui entrano in gioco gli sviluppatori, che dovrebbero essere non dei meri esecutori ma dei consulenti dei loro clienti, guidandoli alla ricerca di una soluzione che risolva le loro necessità ma che sia funzionale.
Anche i clienti devono fare uno sforzo, che è quello di entrare nel giusto ordine di idee: certe idee, pur affascinanti, non sono realizzabili per questioni che possono essere tecnologiche o di budget, ed è quindi necessario accettare alcuni compromessi quando si lavora su progetti innovativi.
Sicuramente chi commissiona un lavoro deve puntare in alto, ma deve anche fidarsi dei suoi consulenti tecnologici, il cui obiettivo è quello di aiutarli a concretizzare la loro visione rimanendo all’interno dei limiti imposti dagli strumenti e dalle tecnologie disponibili.
Chi chiede supporto a uno sviluppatore non è detto che abbia competenze specifiche, e non è tenuto ad averle. Tutti vorrebbero assistere a un evento virtuale muovendosi al suo interno tramite un visore VR e incontrando “realmente” gli altri partecipanti: sarebbe splendido. Poi bisogna fare i conti con la realtà, realizzando che il costo dei visori e quello di un’infrastruttura in grado di gestire tale complessità possono essere proibitivi. E di conseguenza, spesso si cerca di riproporre la stessa esperienza che si aveva in mente abbassando le aspettative, con risultati non sempre adeguati.
La nostra risposta?
Lavorare insieme – aziende committenti, designer e sviluppatori. Salvaguardare l’idea, tenendo buoni gli obiettivi da raggiungere e trovando soluzioni pratiche smart, sul piano della user experience, validate da professionisti che hanno esperienza specifica nel XR Design.
Un approccio di gran lunga più produttivo, rispetto all’utopia di progetti futuristici, che partono zoppi sul piano dell’esperienza utente.
Per tornare a quanto detto sopra, per quest’anno bisogna tener in considerazione che in termini XR Design Trends è bene concentrarsi sulle esperienze e non sullo stupire i partecipanti.